lunedì 29 aprile 2013

Il weekend perfetto

Ci sono momenti, nella vita di tutti noi, nei quali l'unica parola che ti viene in mente è "fanculo": spesso è frutto di incazzature, altre volte è dovuta a scoramento o rassegnazione, altre ancora segna la fine di un rapporto.
In alcuni casi, invece, sottolinea un momento di gioia, di liberazione da vincoli, fisici o virtuali, che ci ingabbiano all'interno di schemi o perimetri che non ci appartengono e non sentiamo nostri.
Ecco, il termine che, meglio di ogni altro, descrive il fantastico weekend appena trascorso, è proprio un gioioso e calorosissimo "fanculo", in quest'ultima accezione.


Tutto inizia venerdì mattina quando, dopo aver pianificato la fuga che mi avrebbe permesso di nuotare con il resto del gruppo, Giovepluvio decide di accanirsi su di me, costringendomi a cambiare programma: l'idea di farmi 80 km di GRA e Cassia sotto l'acqua, con lo scooter, non mi attirano assolutamente. Fanculo, nuoterò qui da me, da solo, come al solito.
Venerdì, ora di pranzo: visto che tutti i miei colleghi, ben più furbi del sottoscritto, hanno pensato bene di mettersi in ferie per il ponte, il capo mi chiede di non allontanarmi troppo, nel caso dovesse succedere qualcosa. Ergo, niente pausa pranzo, niente piscina, niente lavoro di nuoto. Arifanculo.
Esco dall'ufficio, vado a casa, e lì, finalmente, un raggio di sole: non solo ha smesso di piovere, ma trovo Anto e la piccola Dita (quasi) pronte a partire per un weekend in Umbria, ospiti di amici davvero speciali.
Sabato mattina mi alzo con calma (finalmente), e trovo l'occorrente per la mia colazione perfetta: thè, fruttosio, fette biscottate e marmellata biologica senza zucchero. Fantastico!
Nel frattempo, Mao è andato in montagna per raccogliere le erbe che serviranno per una fantastica frittata, e le donne stanno per uscire a fare spese, lasciandomi a disposizione l'intera mattinata per potermi allenare. Programma: corsa nel bosco fino alla cascata delle Marmore.
Calzoncini, maglietta, gambali, scarpe, occhiali, cardio e Garmin. Sono pronto. Per sicurezza, indosso la giacca antivento giallo-fluo e porto con me l'IPhone: nel bosco, non si sa mai...
Poco dopo la partenza, mi accorgo che il Garmin si è spento: come al solito, ho dimenticato di caricarlo. Fanculo al Garmin, farò senza.
Avvio l'App di Strava e via a sensazione, verso le cascate: fanculo il passo al chilometro, la distanza, il tempo e la frequenza cardiaca.
Mentre percorro un tratto di strada bianca in leggera discesa, il mio sguardo spazia fin'oltre le colline intorno, spingendosi sino alle nevi del Terminillo, poi mi infilo nel bosco vero e proprio, in forte pendenza negativa.
Man mano che scendo, il suono "cupo ed ossessivo" della cascata si fa più prepotente, ma non riesco ancora a vederla, immerso come sono nella fitta vegetazione.
Nei tratti di maggiore pendenza il sentiero viene sostituito da scalini, alcuni naturali ed altri costruiti in pietra, fino a formare una vera e propria scalinata
Ad un certo punto, eccola lì, di fronte a me, in tutta la sua imponenza, la cascata più alta d'Italia, con i suoi 165 metri di salto complessivo, a ragione Patrimonio dell'Umanità dell'UNESCO.
Mi fermo qualche istante per ammirare lo spettacolo e fare una fotografia, poi riprendo a scendere, fino alla Statale 209 della Valnerina. Attraverso il parcheggio pieno di centinaia di auto e  brulicante di decine di famigliuole in coda alla biglietteria, felici di pagare per poter ammirare. da una piattaforma di cemento, quello spettacolo maestoso.
Dal canto mio, mi infilo nuovamente nel bosco, risalgo per qualche chilometro la sponda sinistra del fiume Nera, poi prendo a salire, alla ricerca di un sentiero che ho percorso qualche volta in mtb, e che conduce al salto intermedio della cascata, da dove se ne gode di una vista magnifica, ravvicinata, solitaria e... gratuita.
Lungo il sentiero trovo l'indicazione per la via Francigena. Guardo verso l'alto, oltre le cime degli alberi, e penso che non sono mai stato lassù, dove le acque abbandonano la placida tranquillità artificiale del Lago di Piedilugo, riappropriandosi della loro forza devastante.
Ok, si sale, hai visto mai che dovessi trovare l'illuminazione, sulla via di S. Francesco?
Il sentiero è ripido ma "corribile", anche se ogni tanto mi costringe a qualche passo di cammino per riprendere fiato e far riposare quadricipiti e polpacci.
Arrivo in cima e, con mia enorme sorpresa, invece di un fiume in mezzo al bosco trovo ringhiere e cancellate che limitano l'accesso alla cascata, ovviamente a pagamento. Fanculo voi e i vostri biglietti:  non l'avete mica costruita voi, sta cascata, qui hanno fatto tutto i Romani più 2.200 anni fa!
Ma tant'è... Scatto una foto anche da lì, corro lungo un sentiero che circonda il camping "Le Marmore", poi mi ributto a capofitto sulla Francigena, stavolta in discesa; ridiscendo il Nera, attraverso la statale e risalgo da dove son venuto, percorrendo il sentiero e la scalinata, che scopro essere, anche quella, a pagamento (l'addetto ai ticket è stato magnanimo, comprendendo che non ero lì per turismo, e mi ha lasciato transitare gratuitamente).
Dando sfogo al lato ossessivo-compulsivo del mio carattere, conto i gradini che mi riportano in cima: alla fine saranno 632.
Rientro a casa felice di ciò che ho fatto e di quanto ho visto, e trovo la piccola Dita che mi aspetta in giardino. Fanculo, mondo, questa è la mia vita.
"Stoppo" Strava e do un'occhiata distratta e svogliata ai dati: 12 km, 1h28', 660mt di dislivello positivo, pendenze oltre il 20%, ma mi interessano davvero poco.
Non so se quanto ciò che ho fatto sia stato allenante o devastante per i miei muscoli e le articolazioni, ma, sinceramente - il coach mi perdonerà - me ne frega il giusto.
Perchè, dopo tanto, troppo tempo, mi sono ripreso il mio spazio, ho lasciato decidere al mio corpo ed alla mia mente cosa fare, come e dove farlo, gli ho lasciato godere il viaggio e la meta, ho riassapporato il piacere della corsa e della fatica.
Il silenzio ha sostituito il traffico, la terra ed il fango hanno preso il posto del bitume, del cemento e del Tartan. Il panorama a perdita d'occhio ha cancellato il ricordo della pista, ho ascoltato il frastuono dell'acqua invece dei Lap del Garmin, il battito del cuore e l'affanno invece della %Fcmax e dei bpm.
E' inutile che faccia finta di essere un atleta, in fondo io sono questo: spazi aperti, natura, odori, suoni, sensazioni, non tabelle, ritmi, orari, percentuali, cadenze.
Mentre correvo pensavo che forse, nell'ultimo anno, l'unica volta in cui mi sono davvero divertito in allenamento è stato in mtb a Manziana, con il gruppo quasi al completo, e temo che la ricerca della performance a tutti i costi mi possa far dimenticare che, in fondo, sono pur sempre un Amatore (anche se qui si usa il termine un pò snob di Age Group, ma di quello si tratta), e, per questo, devo trarre da ciò che amo divertimento gioia , non stress da risultato.
In linea con questi pensieri, domenica mattina, per suggellare il weekend perfetto, mi regalo una fantastica passeggiata nei boschi a ranghi completi (famiglia e amici con cane) a cogliere asparagi selvatici per il pranzo, poi ruzzoloni sul prato con la piccola e pennichella in giardino sdraiato sull'erba.
Poi, tornato a Roma, corsetta defaticante nel parco sotto casa: niente Garmin (ancora scarico), niente orologio, solo la voglia di sciogliere un pò le gambe, dopo le salite del giorno prima.
Questa è la mia vita, questo il mio mondo, e questo sono io. "E a culo tutto il resto..."
 
 

2 commenti:

  1. Ed io, che sono una del gruppo "frittatona-con-le-erbe-selvatiche", sto ancora qui, sbigottita, a chiedermi COME ACCIDENTI HAI FATTO A FARE TUTTA QUELLA STRADA IN SALITA E DISCESA IN COSI' POCO TEMPO??????? E adesso, che ho pure la lacrimuccia per tanto affetto ed emozione "filtrati" tra le righe, mi sento in colpa più che mai per non averti fatto la pasta...

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    1. Tranquilla, quello che hai fatto è stato ben più che sufficiente...

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